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Il mondo non è banale? ░ Il linguaggio conveniente del Sublime Prefetto

¨ Sutta  (vedico: s ū tra; letteralmente: filo * ) del linguaggio conveniente del Sublime Prefetto ** Mia Nonna dello Zen così ha udito: una volta dimorava il Sublime Prefetto presso la Basilica di Sant’Antonio, nel codice catastale di Padua. E il Sublime così parlò: “Quattro caratteristiche, o mio bhikkh ū *** , dirigente dell’area del decreto di espulsione e dell’accoglienza e dirigente anche dell’area degli enti locali e delle cartelle esattoriali e dei fuochi d’artificio fatti come Buddho vuole ogni qualvolta che ad esempio si dica “cazzo di Buddha” o anche “alla madosca” o “gaudiosissimo pelo”, deve avere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori; quali quattro? Ecco, o mio dirigente che ha distrutto le macchie: un dirigente d’area parla proprio un linguaggio conveniente, non sconveniente, un linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, un linguaggio gradevole, non sgradevole, un linguag

L'orgasme en... douze récits


RUE6914/01/2012 à 11h37
Bob Sinclar, Katsuni, Siné, Paulette... L'orgasme en dix récits

Renée Greusard
Journaliste
Quand elle jouit, Francesca a l'impression que des paillettes vont sortir de son vagin. Paulette, du haut de ses 73 ans, raconte qu'elle n'a connu la jouissance que deux fois. On a beau savoir (à peu près) tous ce que c'est, on ne le définit pas tous de la même manière. L'orgasme reste un des mystères absolus de l'humanité.
Nous avons demandé à dix personnes de nous raconter ce qu'était, pour elles, un orgasme. Le résultat est drôle, étonnant, touchant parfois.






· Le  récit  onze est: 
Le Sonar de Simone Dauffe
par V.S.Gaudio


· Le récit douze est:
La lumière  de Melina à tricycle
par  Lino Angiuli




E questa Simone potrebbe avere la prossemica anamorfica,
o prossemica della macchia, contenendo così due campi di forza
e tre forme di 
munus., e lo schema verbale di cui ai verbi proairetici
della 
libido liquida di Simone Dauffe?
Il Sonar di Simone Dauffe

Simone Dauffe, la ventunenne ectomorfa, si fa mousser le créateur le dimanche standosene a letto, anche se abita a Chambéry-le-haut e il y a le marché du dimanche matin. Elle sonne son carillon a soixante-dix coups alla volta: pensa che la stia suonando il batacchio di un uomo adulto che alla Fête Médiévale le ha fatto carilloner le Calibistrix in un incontro pubblico in cui ha sentito l’enormità del suo désir, una sorta di 4° grado erettivo in un eretismo fantasmato durato almeno un paio d’ore. Avviene che in una domenica particolare gli stringe tanto il cazzo all’uomo fantasmato,le serre de près le cas, che gli fa siffler les oreilles, gli fa zufolare le orecchie: non fa che pensare all’emboîtage, all’emboîter, tanto che fa siffler, emboîter, les oreilles du désiré. Simone fa venire in mente il fatto che i delfini godano nell’essere chiamati “Simon” e i 32 segnali, i clics del delfino, il sonar. A Chambéry-le-haut, pertanto, le dimanche, quando le Grand Carillon tace, è il Sonar di Simone, il suo Calibistrix, che è sconquassato, chambardé a tutto spiano, con suonate calibrate sulla sequenza del 32, tanto che avviene che il Bonheur-double faccia siffler les oreilles sia a Simone che al suo fantasmato che, in questa reciprocità delfinica, le sta sconquassando le Calibistrix con il battaglio. 
In argot, “Dauffe” è lo strumento di effrazione, le “coup de pouce”, che rinvia ai verbi proairetici “mettre”,“planter”,”percher”,”caser”,”poster”,”flaquer”,”coller”,”ficher”,”fourrer”:
i verbi dell’ esquintement, du bris che le Dauphin de Simone sta usando: il “minchione magico ultrasonico” del Poeta e il Calibistrix di Simone: il concerto della domenica a Chambéery-le-haut, ma della domenica in cui nel bioritmo degli stati della libido di Simone ci sia le “jour critique”, le jour du coup de pouce, le jour du bris, le jour de l’esquintement, le jour du Sonar, le jour du Dauffe, le jour de Simone.

[da : V.S.Gaudio,  Chambonheur », © 2005:è in programmazione su gaudia 2.0 come estratto  Chambonheur n.5]  


La luce sul triciclo di Melina
Esempio: quando il maschio che mi fecero sposare si avvicina dentro il letto per fare le cose dei porci a testa sua, senza una parola all’andata e senza una parola al ritorno, allora io, pure che sto all’oscuro, basta che chiudo gli occhi e appiccio il neòn: lui si piglia il suo strigno di animale e io, mentre che faccio il dovere, mi piglio il mio strigno di luce, una luce con cui mi sono imparata a fare cataplasmi decotti impacchi per sanare da ogni cosa male.
Beato chi la tiene dentro a lui quella fontana che mena luce e beato chi se la riesce a trovare, perché tante volte, pure se la tieni, ci stanno intorno tante erbe palazzi automobili che non capisci la strada da fare per andarti a riempire una giara o almeno un bicchierino di rosolio.
Io per fortuna la tengo a due passi e quando l’ appiccio vedo tutto con occhi diversi, anche la faccia mia.
E vedo nononno, come no? Lo vedo intatto e naturale come quel giorno di maggio, che lui mi viene incontro con la testa di sole dentro il sole. Io vado sul triciclo; lui si avvicina a passo lento; si abbassa sopra a me e con calma, molta calma, mi fa “Melina, Melina, minenna bella, piccinenna di nononno tuo, non è niente a te; deve passare”.
E passa davvero, lo sai?
[da: Lino Angiuli, Melina del triciclo, in: Idem, La panchina dei soprannomi, Gelsorosso, Bari 2011: pag.77]