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Jack Kerouac "Parrotë" come V.S.Gaudio?

Jack Kerouac sempre a casa con la mamma; V.S.Gaudio quando a casa con la madre a Sant’Arcangelo? Jack Kerouac stava sempre a casa con sua madre. Non era proprio uno da stare On The road. Lawrence Ferlinghetti Un po’ come il nonno del poeta V.S.Gaudio, che, come è stato prefissato nel paradigma esistenziale, doveva essere stato in Argentina, addirittura si poteva dire che fu finanche a Ushuaia, e poi il nipote poeta non lo vide mai nemmeno sul marciapiede di casa in corso Vittorio Emanuele III, tra i civici numeri delle porte 96,98, 100 quando faceva buio anche d’inverno, e 1,3, 5 al mattino anche d’estate. Anche V.S. è un poeta capellone, della Beat Generation, e anche di lui si può narrare che è stato persino a Sant’Arcangelo, il paese del cardinale che fu vescovo di Napoli e famoso per essere stato perseguito dalla Procura di Lagonegro inutilmente per 4 anni, tanto che pare che  Jean-No ë l  Schifano ci abbia ricavato sopra un pamphlet che in Italia non abbiamo potuto legger

L'asino del nonno del poeta che vola a S.Arcangelo


La casa di campagna del nonno di Lenin sorgeva, non lontano da Kazan – capitale della Repubblica autonoma dei Tartari - , un po’ in cima a una collinetta ai piedi della quale scorre, portando a spasso le sue anatre, un fiumiciattolo colcosiano.
Una parte del soggiorno dava sul giardino, con tre grandi finestre. I ragazzi, tra i quali Volodja Ul’janov, il futuro Lenin, entravano ed uscivano di casa per le finestre, anziché per la porta.
Narra Gianni Rodari(che in quel posto bevve del buon vino con i suoi amici tartari) che “il saggio dottor Blank(padre della madre di Lenin), ben guardandosi dal proibire quell’innocente spasso, fece mettere sotto le finestre delle robuste panchette, perché i ragazzi se ne potessero servire nei loro andirivieni senza rischiare di rompersi l’osso del collo.”
La casa di mio nonno(il padre di mia madre)a S.Arcangelo, invece, era fatta in modo che entravi a pianterreno e ti trovavi dall’altro lato il balcone all’ottavo piano sulla piazza sottostante: narrava questo mio nonno, per via di madre, pare, un ebreo di quelli un po’ inquietanti, piuttosto piccolo, così lo ricordo, con un aspetto tra il fantasmatico e l’evanescente, che una volta, quando ancora avevano l’asino [che non so se era lo stesso da cui bambino caddi sul terreno morbido e sabbioso in quel di S.Maria Orsoleo, un bel posto dove, a quel che si dice, sembra che sia sorto un non so che cosa per bambini profughi, forse in virtù di quella mia caduta], che, entrato dalla porta, l’animale quadrupede prese ad uscire dal balcone, sprovvisto di ringhiera, tanto che il saggio nonno(padre della madre del futuro poeta), ben guardandosi dal proibirgli quell’innocente spasso, fece mettere sulla piazza dei materassi perché l’asino( e in seguito anche una mula) se ne potesse servire nei suoi andirivieni e voli senza rischiare di rompersi l’osso sacro.

Cadde qui dal cestone del ciuccio
del nonno-ma alla briglia c'era la nonna-
il poeta bambino, e quali furono le conseguenze?
A me, ogni volta che lo rammento, sembra un modo esemplare di mettersi al servizio della libido dell’asino, che, è risaputo, per volare, pur entrando dalla porta, è necessario che esca dal balcone.
Il mondo si può guardare ad altezza d’uomo, ma ad altezza d’asino, piuttosto che dall’alto di una nuvola, è più divertente guardarlo dall’alto di un balcone a S.Arcangelo nella piazzolla.
Nella realtà si può entrare dalla porta principale o infilarsi- è più divertente- da un finestrino, tanto scrisse Gianni Rodari, non si poteva ancora presupporre che nella realtà ad entrarci a dorso d’asino, con il cestone non legato, se cadi sul terreno morbido al santuario di S.Maria Orsoleo, non è come cadere sulla piazzolla di S.Arcangelo da otto piani volando con l’asino e questo, pezzo d’asino, tu che l’afferri dalla coda, lui ti cade addosso, il mondo sarebbe davvero di una bellezza insostenibile!
Tant’è che i maestri dell’arte del ciuccio che vola, sentita la leggenda del ciuccio di mio nonno, vollero gemellare il loro paese con quel paese, affinchè il binomio divenisse fantastico.
A dorso ognuno del proprio ciuccio volarono, dopo aver fatto scorreggiare(“piritijàre” o, con un’allusione non so quanto di primo grado al cannone americano, “parròttjàre”) gli asini passando sul paese rivale dei cosiddetti “dimenticati”(come ebbe a definirli un regista romano che teneva masserizie e quadrupedi pur’isso o la sua famiglia nella Calabria più giù e anche in questa ai confini con la Basilicata), alla volta di S.Arcangelo, che, da allora, con questa storia, i procedimenti fantastici non sono più destinati all’immaginazione dei bambini ma fanno entrare tutti gli ombroni, grandi e piccini, nella realtà volando a cavallo del ciuccio, che non solo è più divertente ma non ha bisogno nemmeno di aereoporti, e nemmeno di carburante della val d’Agri.
E’ naturale che il binomio fantastico, che dalla leggenda di mio nonno si ingenera, ha prodotto ipotesi fantastiche irrefutabili, che, comunque, qui esemplifichiamo nelle tre bisacce nominali:
1)      unendo nome e  verbo: es. il ciuccio vola; S.Arcangelo atterra
2)      unendo soggetto e predicato: es. S.Arcangelo è al mare, dove sono finiti tutti gli ombroni quando, a dorso di ciuccio, sbagliarono direzione, invece di andare a nord-ovest finirono incontro all’alba, gli ombroni di Albedonë, a sud-est!...
3)      unendo soggetto e attributo: es.: l’ombrone (oppure:mio nonno) “esperto in voli di ciuccio”.
In realtà, visto come il ciuccio l’attraversava volando giù dal balcone a S.Arcangelo, il ciuccio non era proprio di mio nonno ma di zi’Biasë, il fratello della nonna, uno di quei ladroni che contribuì a togliermi tutto il patrimonio genetico e immobiliare, un altro ombrone e quindi a cavallo del ciuccio, che, va da sé, a casa sua questo entrava dalla porta e poi lui saliva sopra una scala di legno e sotto stava il ciuccio, che non è un animale poetico, difatti cacava a Marrocco o alla Stirpìna sulla terra della mia ascendenza e perciò sul mio destino, infognando i miei possedimenti.
Gli ombroni, il popolo del ciuccio che vola, perché devoti all’arcangelo Michele, quando inizialmente, come i dinosauri, stavano nel loro habitat, avevano un ciuccio a testa, compresi i bambini; poi, cominciarono a volare a nord-ovest e a sud-est [dimenticando che c’era la strada statale n.92 dell’appennino merdionale che da Potenza portava diritto nei boschi e nel demanio marino di Villapiana, comune attiguo e connesso a quello delle famose Trebisacce(che,appunto, è al ciuccio che vola che sono imputabili)], e i ciucci oggi sono rimasti in pochi o, meglio, come in quel gioco di Rodari, cosa sarebbero gli ombroni se all’improvviso i ciucci sparissero?
Si va a prenderli in Mongolia, in Cina, in Argentina, in Messico o in Brasile?
Per dare un ciuccio a testa agli ombroni, per quanto questi si siano moltiplicati, grazie al dispositivo magico di sessualità e di alleanza delle Trebisacce, come gli argentini di origine italiana, basterebbero i 55 mila ciucci dell’Albania?
Comunque, non so quanti hanno visto quel video che gira nel web dell’asino che va in spiaggia [ per i maggiori di anni 18, ma chi, tra i visionatori di piṅgapā, potrebbe essere monorenne?, c’è qui il link per il memorandum(vietato) sull’asino e sull’ass steso al sole, con il relativo video: Fla-langue-de-l-ane-vm-18], in inglese il ciuccio si chiama ass, e vedendo un ass, un sedere, steso al sole…beh, cosa volete che vi dica, se avete visto il video?
Inizialmente, io pensai che fosse il ciuccio di zi’ Biasë(che, a dir la verità, non è detto che fosse suo…)o, meglio, di zi’ Trèsë, la moglie,che era lei che andava a cavallo del ciuccio; poi, a pensarci bene, mi son detto, ma sarà morto quel ciuccio, sarà un discendente allora come me? Non è sicuro? Appunto, come me, non è sicuro che io discenda da quella razza di ciucciari di S.Arcangelo.
Un mondo senza ass, però, sarebbe terribile…pensate: né culo, né ciuccio, né il punzone (-φ) di Lacan, che ne sarebbe stato allora dei suoi seminari? E le mule irlandesi del papa Giovanni XXIV di cui alla controstoria di Guido Morselli?

Ó Arturo Zavattini, 1956[da: I viaggi nel Sud di Ernesto de Martino
a cura di Clara Gallini e Francesco Faeta
Fotografie di Arturo Zavattini, Franco Pinna e Ando Gilardi, Bollati Boringhieri 1999]

Questo ciuccio, che va al santuario della Madonna di Pierno, S.Fele, non è, naturalmente, il ciuccio di zi’ Trêsë o di mio nonno, e , come ben vedete, il bimbo non è il bambino poeta.
Il fatto è che, come si capisce dalla foto di Arturo Zavattini, mia nonna, all’epoca [15 agosto 1956], non era in contatto nemmeno con Ando Gilardi, il mitico fondatore della Fototeca Storica Nazionale, quantunque essendo egli amico e collega di Gianni Toti, nessuno avrebbe potuto preannunciarle che il suo nipotino delle Trebisacce – che cadde dal ciuccio a S.Maria Orsoleo – avrebbe, poi, fattosi adulto colto(anche perché avrebbe potuto così leggere “Phototeca”, sempre di Gilardi, che, come tutti sanno, era destinata a lettori “adulti colti”), scritto testi memorabili ( e per niente segreti) per “Carte Segrete”, la rivista di letteratura e arti di Gianni Toti( e Mimmo Javarone)!
Però, escluso Ando Gilardi, non si potrebbe lo stesso dare un’occhiata alla collezione di “Phototeca”, e anche di Fhototeca", per cercare una traccia o un sottentrare silenzioso del ciuccio di zi? Trêsë?

Copertina di "FHOTOteca"(diretta da Ando Gilardi) n.34, 1988:
"Cavallo Effimero" tempera di Mitsuyoshi Haruguchi, 1975