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Il mondo non è banale? ░ Il linguaggio conveniente del Sublime Prefetto

¨ Sutta  (vedico: s ū tra; letteralmente: filo * ) del linguaggio conveniente del Sublime Prefetto ** Mia Nonna dello Zen così ha udito: una volta dimorava il Sublime Prefetto presso la Basilica di Sant’Antonio, nel codice catastale di Padua. E il Sublime così parlò: “Quattro caratteristiche, o mio bhikkh ū *** , dirigente dell’area del decreto di espulsione e dell’accoglienza e dirigente anche dell’area degli enti locali e delle cartelle esattoriali e dei fuochi d’artificio fatti come Buddho vuole ogni qualvolta che ad esempio si dica “cazzo di Buddha” o anche “alla madosca” o “gaudiosissimo pelo”, deve avere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori; quali quattro? Ecco, o mio dirigente che ha distrutto le macchie: un dirigente d’area parla proprio un linguaggio conveniente, non sconveniente, un linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, un linguaggio gradevole, non sgradevole, un linguag

La posa del caffè e la psicanalisi 11 ▌La mano e l'aria che tira a Livorno, Beckett

Boschi a Livorno, tra un caffè e Solange

   







Fonte: Foto S. Lanari e Alberto Vincenzoni

Il bonheur e la pulsione k che viene a maggio, la transpolitica
Non so se è per via del caffè, di certo, ma anche per via del mese di maggio che, ormai è risaputo, è pur sempre il mese proclamato  di quelli che Harry Mathews chiamò  piaceri singolari, fatto sta che l’oggetto “a” del poeta, ma anche del visionatore meno trascendente e astratto, è volato davvero alto al meridiano nel primo week-end del mese del gaudio; sarà stato anche il naso e i pantaloni rossi e quella faccia, per non parlare della mano che le si prende per decodificarle che cosa se non la pulsione “k” che le sprizza dappertutto? Che cosa è la pulsione “k” se non la coscienza della propria identità di percezione, questo dare posa e caffè alla propria isteria di conversione rattenuta e sublimata, o questo incanto di ipocondria che, socializzato,  è quasi patagonico per come sospende l’estetica e il feticismo. L’amore della forma, che c’è in questa ragazza, questo predominio della ragione, il realismo e lo spirito rigido, tipiche sublimazioni del carattere dell’economista, del politico, dell’insegnante, del soldato, del geometra e dell’impiegato alle poste, e anche del tipografo e di chi amerebbe far furto con scasso o vagabondare, fuoriesce sostanzialmente dalla pulsione k+ che potenzia il narcisismo tanto è intrisa di introversione, freddezza e aridità. L’amore della forma speculare alla forma amorevole, come se questa fosse assoggettata alla monotonia e alla meticolosità. D’altronde, lo si capisce dal naso e da come beve il caffè, il feticismo sta nei calzoni rossi, e la transchiromante , che è dal lato della transestetica, per come ne indicava i tratti Jean Baudrillard, nel prenderle la mano non fa che impadronirsi del desiderio di potenza e del conseguente bisogno di conoscere. Dio, bisogna inseguirlo l’oggetto “a” e, poi, prenderle la mano e, una volta che questo possa avvenire, che ci siano dei fotografi a immobilizzare la scena, il patagonismo nasce così, che cosa c’è lassù che passa al meridiano e ti percuote l’oggetto “a”, tanto che ogni volta che il visionatore la guarda si dice ma che cos’è, il mese di maggio è davvero il mese del gaudio o quello che gli ammašcanti chiamano il periodo del furguwune, ma è mai possibile che si possa essere trattenuti in questo incantesimo da una che sta elaborando gli ideali possessivi e di sicuro finirà col consegnarli integralmente alla pulsione k-, tra negazione, rimozione e distruzione? Quando Jean Baudrillard parla dell’inseguimento dell’ attrattore strano è a Venezia che ne ambienta la scena; a Livorno, il narcisismo primario di chi è portatrice dell’attrattore strano ha anche qui la materialità liquida, e la distruzione dell’io, lo sappiamo, trova nella posa del caffè la giusta tendenza ad  adattarsi alla rimozione, anche se qui il fattore sistolico non è prolungato, ma intanto che la guardate per come beve il caffè e poi per come le prende la mano la transchiromante, tra naso, bocca e pantaloni rossi che cosa le fareste alla nostra giovane donna catatonica e narcisista, facendo finta di non sapere che ruolo amministra, che amministrazione del suo io materiale e dell’avere(quel corpo che ha) le fareste con il semplice tocco della mano?

Con la pulsione “k”, l’io prende posizione e avete visto come beve il caffè? Afferma la posizione dell’avere, è quasi incerta e sorridente nel suo ammiccare catatonico, per questo le prendiamo la mano e , sarà che è il mese di maggio e c’è questa aria che tira il gaudio a Livorno, una delle meraviglie della natura, se non la più notevole, è questo che vorreste dirle, è quella sospensione sistolica del podice che hai che mi tiene su al meridiano, e, complici i tuoi calzoni rossi, Dio, ti tengo la mano e il mio narcisismo primario si riempie del tuo, c’è un travaso di libido, è come se la tua isteria di conversione fosse speculare alla mia nevrosi ossessiva, ed è tutto dentro una regola matematica che è anche estetica e metafisica, un po’ come se tu che hai lo spirito che si assoggetta all’ordine catatonizzi lo spirito rigido del mio oggetto “a”; così, al livello filogenetico, siamo dentro la stessa bolla dell’identità di percezione, è questo allora il gaudio di maggio?

Quello che hanno gli occhi , fece in una Mirlitonnades Beckett, mal visto di bene le dita lasciano filare di bene: come socchiude e tiene stretti gli occhi, e le dita, la mano, che lascia filare e stringe per bene, le dita gli occhi, Dio, una delle meraviglie della natura è questo che le bien revient en mieux, il bene va in meglio, e le bonheur allora, quello hanno gli occhi e le dita stringono per bene mal visto, così tenuto dentro il bonheur. Il visionatore immagina se questo un giorno questo un bel giorno immagina se un giorno il caffè, la posa un bel giorno questo cessasse o fosse accaduto, immagina questo, per questo le prende la mano, che è il silenzio così che ciò che fu prima potrà mai essere ancora e di più quante volte soltanto dal bisbiglio lacerato una parola la mano che tocca lieve e il naso in capo a quale torretta l’occhio questo limite del niente davvero fa solo nella tua testa? Tutto sommato, tirate le somme, bevuto il caffè, un bel quarto d’ora senza contare il tempo perduto, quella là, dunque quella o anche quella là pur nell’esserci in cui è già, fosse qua sabato o un altro giorno sempre a maggio, perché è dentro il mese che la luna nera maneggia tanto che fa notte e lei implora l’alba intanto che la notte di grazia e di gaudio addosso le si posa, e, fattosi un altro caffè, preso per mano il (-φ) del poeta, niente, nessuno, sarà stato, per niente, tanto è stato, dentro la posa del caffè, niente, nessuno, quello che hanno gli occhi mal visto di bene, le dita lasciato di bene filare, stringe per bene il bonheur, le dita gli occhi, così bene, il bene-bonheur va in meglio, è là che si tiene, la mano dapprima di piatto sul duro lo preme, la destra o la sinistra, di piatto, poi, sulla destra o la sinistra, infine, sul tutto, gli occhi, la testa, il naso, la bocca, fa sosta, ammicca la faccia da tosta, fa suo il poeta e la posta.